Cos'è un sottoblog? Un blog in un blog. In questo si parla di come non arrestare l'evoluzione della specie.

25 settembre 2014

La guerra in casa

Per quanto questa possa sembrare una favoletta romanzata non è altro che la cronaca della mia mattinata.



Capita, a voler avere una casa, di ricevere delle visite inaspettate. Capita. Stamattina è arrivato a casa un amico che non vedevo da tre anni. È entrato senza bussare, l'ho trovato sul piazzale ad accarezzare il cane. Capita anche un'altra cosa, a voler essere sempre cosmopolita, capita di avere amici che vengono da altre parti del mondo. Ciò è senza dubbio una bella cosa, ma ha per controindicazione il fatto che prima o poi - capita - ti vengano a trovare per dirti che stanno per andare in guerra. Non so a quanti capiti alla fine, sta di fatto che a me è accaduto stamattina.


Prendo questi appunti con una matita senza troppa punta, su un quaderno dove di solito scrivo storie inventate. Capita qualche volta di scriverne di vere come questa. Da quando è nato la Russia e l'Ucraina sono state in guerra cinque volte. Il mio amico si è già preso una pallottola nella gamba e una nel costato, dove hanno ferito persino Gesù Cristo. I denti che porta, a ventisette anni, già non sono suoi. Capita, quando c'è la guerra.

Capita poi che qualche rarissima volta la guerra ci entri in casa. A casa mia non entrava da molti anni. Mi rendo conto solo ora di quante volte in passato ho usato la parola "guerra" in modo improprio. Il mio amico, invece, è scappato da casa di sua madre stanotte. Ha una borsa da palestra per valigia e tira fuori davanti a me una bandiera azzurra e gialla. La dispiega sul tavolo di casa mia, dove di bandiere se ne sono viste solo ai mondiali e neppure così tanto. È mattina, mattina prima, rifiuta il caffè e gli verso un liquore, per lui è normale. Ugualmente poi faccio anche per me perché potrebbe non esserci più occasione. Mi racconta che tre amici suoi sono stati già uccisi e si fa un segno della croce alla maniera degli ortodossi. Non gli piacerebbe, mi dice, se i suoi figli (che non ha) fossero figli di un disertore. A casa sua gli hanno nascosto già tre volte la lettera per i riservisti, finché un amico l'ha telefonato. Capita, certe volte, di pensare anche ai figli che non si hanno o al giorno che si muore. Il mio amico ha un nome che non saprei scrivere, dice che se deve morire vuole morire nella sua terra.

Vado a pranzo che mi sento un vile, alla fine i nostri orticelli sono così tranquilli. Mangia un limone come se fosse un'arancia e usa la parola "frontiera". Cos'è per noi nati dopo Shengen, una frontiera? Non è nulla, nulla. Cosa abbiamo fatto più di chiunque altro per meritare una vita di pace? Nulla. Ieri sono stato a Salerno ed ho comprato un aquilone, non so se mi sono spiegato. Un aquilone. Capita, come mi sta accadendo adesso, di non avere le parole per dire qualcosa che al massimo possiamo immaginare. Il mio amico mi spiega la sua bandiera e quel simbolo, traccia dei segni sulla carta con una penna nera che per me non significano niente, per lui significano "Libertà".



Nessun commento:

Posta un commento